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Federico Paset PDF Stampa E-mail
Federico PasetCapita alla maggior parte degli studenti di arrivare al termine degli esami di maturità senza avere una chiara idea a proposito della facoltà a cui scriversi (scelta quasi obbligata per chi ha fatto il liceo scientifico come me; ma oramai lo è un po' per tutti). Si ha sempre la paura di fare il classico buco nell'acqua, perdendo anni e risorse, senza trovarsi niente in mano. Ho avuto la fortuna di trovare nelle parole di mio padre, totalmente estraneo all'ambiente, in quanto falegname artigiano, il terreno più fertile per poter ponderare una scelta tanto difficile; mi disse "fai quello per cui ti senti più predisposto, mettici il tuo impegno serio e costante, e alla fine in una maniera o nell'altra verrai pagato per ciò che avrai fatto". A quel punto non ho più avuto dubbi: per me la matematica era (ed è) sempre stata un flusso naturale dentro di me, qualcosa che sentivo mia, e che, più o meno consapevolmente, applicavo quotidianamente in tutto quel che necessitava di logica ed intuizione. Non sono mai stato amante delle ore passate chino sui libri, non mi sarei mai visto ad imparare qualcosa in maniera mnemonica, non fa per me. Quindi, le sagge parole di mio padre sono state come una liberazione.
Da allora ad oggi sono passati nove anni, da quattro mi sono laureato, e di esperienze ne ho vissute parecchie. Per uno che inizia con i primi esami di matematica con la convinzione che la sola intuizione e predisposizione siano sufficienti, si sbaglia di grosso. Pur non avendo mai amato la fase di studio sui libri (magari costretti ad imparare quasi a memoria certi teoremi... per poi arrivare a capire che non si devono imparare a memoria, ma si deve liberare la propria mente e farla correre dove altri hanno praticamente volato), devo ammettere che non si può prescindere da quella parte: è un po' come preparare il terreno prima di seminare, serve a creare una certa forma mentale, ed è uno spartiacque per capire chi sta fuori e chi sta dentro. Ma questo non significa arrendersi; sapevo bene che il compito del matematico è un altro.

Negli anni all'università non mi sono limitato a studiare anzi, quasi lo evitavo, perché seguendo quasi sempre tutte le lezioni cercavo di trarre da queste il massimo vantaggio; ho avuto poi la fortuna di incontrare sulla mia strada due compagni di corso, che poi sono diventati grandi amici, che la pensavano come me, ed abbiamo fatto squadra, sostenendoci l'uno con l'altro, cercando sempre il lato più bello della matematica, mai quello più noioso; il nostro metodo di studio lo chiamavamo ridendoci sopra per interpolazione, perché dall'aspetto pratico, a noi più familiare, passavamo poi ad astrarre, rendendo la cosa anche piacevole. Al di fuori dell'università ho fatto tante cose in quegli anni, tanto da ritenerli forse i più intensi della mia vita. Poi ho conosciuto il professor Eschgfäller, e con lui la consapevolezza che la matematica non esiste fine a sè stessa ma, al contrario, costituisce il fondamento di tutto. Quando ormai mi mancava la tesi, ho scelto di seguirlo, assieme ai due colleghi sopra citati, ad Innsbruck  durante il suo anno sabbatico; in quei cinque mesi abbiamo svolto un tirocinio presso l'azienda Biocrates, operante nel campo della bioinformatica. Purtroppo però siamo arrivati in leggero anticipo, e dopo aver discusso la tesi, maturata in quel periodo, ed intitolata "Regressione, correlazione, e analisi delle componenti principali", non c'è stata la possibilità di continuare a lavorare per quell'azienda, se non ancora come tirocinanti, e non potevo permettermelo. Così, per un po', mi sono scontrato con la famigerata domanda "e adesso?"... Non avrei mai potuto avventurarmi in una strada all'interno della stessa università: anche se adoro apprendere sempre cose nuove, non mi ci vedevo portato; sono convinto che chi lo fa, debba farlo con passione, e non sarebbe stato rispettoso per chi lo fa seriamente... e per chi, onestamente, era molto meglio di me. Inoltre, sentivo di non dover più contare sulla mia famiglia: avevo bisogno di un lavoro che mi permettesse di vivere. Dopo circa tre mesi (allora sembravano interminabili) ho iniziato a lavorare presso le Assicurazioni Generali di Milano.
 
Vista dalla piattaforma
 Ma in quel periodo sembrava che tutto remasse contro di me: dopo sei mesi, credo di essere stato tra gli ultimi ad essere chiamato per il servizio di leva obbligatorio. Me ne sono fatta una ragione: significava che quella strada non faceva per me. E come dice mia madre, quando si chiude una porta, si apre un portone. In questo momento, luglio 2007, vi sto scrivendo dal Canada. Sono qua perché l'azienda per cui lavoro, l'Adriatic LNG (una joint venture tra Exxon Mobil, Quatar Petroleum ed Edison) mi ha mandato per un anno di corsi di formazione (corsi di inglese, e corsi tecnici, legati alle attività petrolifere offshore) alla Cape Breton University. Proprio mentre stavo per finire il servizio civile, che poi si è rilevato una conditio sine qua non per essere qui adesso, ho partecipato ad una selezione per questa compagnia. Dopo sei mesi di formazione di base, sono stato assunto a tempo indeterminato, e subito dopo mandato qui in Canada.

L'Adriatic LNG è la compagnia che sta costruendo il primo rigassificatore di gas naturale liquefatto (LNG) al mondo. Una sfida per il nostro Paese, visto che l'LNG è una fonte di energia molto usata in paesi come Stati Uniti e Giappone, dove però i terminali sono sulla terra ferma, e una sfida per la compagnia, ed anche per me stesso, in quanto mi sono messo in discussione, facendomi coinvolgere, con le mie caratteristiche, in un progetto che mi richiede di imparare concetti molto più legati all'ingegneria industriale, ma che costituiscono per me uno stimolo impareggiabile. La mia avventura canadese sta per finire, e presto partirò per Qatar (partner aziendale) e Spagna (dove la piattaforma offshore è in costruzione); per ora ho solo una idea di base di quello che sarà il mio compito ed il mio spazio all'interno della compagnia, ma sono consapevole che dopo essermi formato in un ambiente così diverso da quello da cui provengo,e piuttosto inusuale per la realtà lavorativa italiana, avrò modo di fare quello che meglio mi viene: cioè usare la matematica applicandola a problemi produttivi, apparentemente legati più all'ingegneria industriale e alla chimica... le quali però, e qui lasciatemelo dire, sono fini a sé stesse se non sviluppate per mezzo della matematica. Infatti, non va dimenticato che la matematica dà buone basi, e soprattutto di matematica al mondo se ne sa davvero poca: questo è un vantaggio per quei pochi che la sanno, abituati a risolvere problemi di una certa difficoltà. Purtroppo, in Italia siamo molto più portati all'astrazione e alla generalizzazione, mentre in Nord America si va direttamente al sodo, trascurando la versatilità e la flessibilità che noi abbiamo: il giusto equilibrio tra questi due approcci sarebbe l'ideale via di mezzo.

Non so ancora di preciso cosa mi riserverà il futuro, ma il fatto di avere un'attività stimolante, mi rende ancora più desideroso di coltivare nuove idee. L'unica cosa che posso dire oggi con certezza è che non mi fermerò qua, ma cercherò sempre qualche nuovo stimolo. D'altronde, non ho nessuna pretesa di considerarmi uno "scienziato";  mi sento più semplicemente un "artigiano della matematica", e ciò che mi fa più felice è capire che era quello che volevo.
 
(Scritta nel 2007)