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Alberto Pambira PDF Stampa E-mail
Albero PambiraHo sempre saputo che avrei voluto fare il matematico, forse da quando avevo sei anni, cioè dopo aver sommariamente scartato l'idea di diventare un mago da palcoscenico o un astronauta. Sono sempre stato affascinato dai numeri e dal loro modo di combinarsi e di interagire con la vita di tutti i giorni. Quando da ragazzino mi chiedevano "E tu cosa vuoi fare da grande?" rispondevo sempre "Il matematico!", e potevo vedere nelle loro facce un senso di sconforto e compassione  "Povero, vedrai che cambierai idea!".
Studiai al Liceo Scientifico e poi decisi di intraprendere gli studi matematici, con l'idea di laurearmi in matematica e poi in fisica, e magari continuare con la ricerca in fisica teorica. Infatti, all'epoca ero abbastanza scettico che la matematica potesse offrire  opportunità diverse dall'insegnamento, a cui sicuramente non aspiravo. Inoltre, non immaginavo che ci fosse tanto da scoprire oltre a quanto avevo studiato al liceo. Infatti, il programma di matematica del liceo si limita a toccare di sfuggita la matematica scoperta fino al diciassettesimo secolo, trascurando più di tre secoli di evoluzione di questa incredibile disciplina!

Una volta iniziati gli studi universitari, mi si presentò un mondo nuovo e affascinante, dove la matematica si delineava come una scienza dinamica ed in continua evoluzione, e potevo finmalmente toccare con mano i limiti della conoscenza attuale e assaporare la possibilità di poter contribuire personalmente con della ricerca originale.

Durante quegli anni ero molto più  attratto dalla matematica pura, e mi piaceva sottolineare che gli unici numeri rilevanti nei miei libri fossero quelli delle pagine. Non è  stato facile giustificare o difendere questa predilezione per la matematica più  astratta agli occhi della gente. Le domande più comuni erano: "Ma poi, a cosa ti serve tutta questa teoria? Come si usa in pratica?". Ma io non ero interessato all' utilizzo dei ciò che imparavo,  mi piaceva e ciò mi bastava! All'epoca pensavo avrei fatto il ricercatore in geometria differenziale.

Quando verso la fine degli studi universitari divenne chiaro che la laurea non sarebbe stata sufficiente per assicurarmi un posto da ricercatore; decisi, sotto consiglio del mio relatore di tesi, di fare un dottorato, con la consapevolezza che questa sarebbe stata un po' una scelta senza ritorno. Infatti, soprattutto in Italia, il dottorato non è tenuto in considerazione al di fuori dell'ambiente accademico, per cui il titolo di dottore di ricerca in qualche modo  riduce le possibilità di carriera rispetto alla semplice laurea. Ma questo non era un problema per me, sapevo che era quello di cui avevo bisogno per diventare ricercatore.

Quando mi si presentò l'occasione di studiare all'estero, non fu difficile convincermi che questa sarebbe stata un'enorme opportunità non solo per approfondire la mia conoscenza matematica, ma anche per imparare una nuova lingua, usi e costumi di un'altra nazione e soprattutto allargare lo spettro delle mie possibilità future.
Con una conoscenza quasi nulla di inglese ed una buona miscela di determinazione e testardaggine, mi avventurai in un dottorato a Leeds, in Inghilterra, in geometria differenziale. Devo ammettere che all'inizio fu molto dura, visto che dovetti imparare molto velocemente ad essere indipendente e non dover contare sull'appoggio diretto della famiglia, o  degli amici, e nel frattempo studiare matematica in una maniera nuova, indipendente e mirata a scrivere una tesi originale e potenzialmente pubblicabile.

Quando finii il dottorato pensai che il mio nuovo bagaglio culturale e la conoscenza dell'inglese mi avrebbero fornito le chiavi magiche per entrare nel mondo accademico italiano. Tornai per un breve periodo in Italia per capire quali possibilitàa avrei avuto per realizzare questo sogno. Tuttavia, non  ci volle molto a veder dissolvere questa illusione e capire che l'accesso alla carriera universitaria sarebbe stato molto difficoltoso ed erratico, e che sarebbe dovuto passare molto tempo prima di poter avere  un posto di lavoro e  raggiungere la fatidica indipendenza economica.
Non volevo certo aspettare di vedere i miei pochi risparmi accumulati durante tutto il dottorato prosciugarsi lentamente nell'attesa di trovare una posizione stabile nell'olimpo della scienza.
Cominciai insomma ad essere disilluso dal mondo universitario e dal livello di stoicismo ed abnegazione necessari per un salario appena accettabile; e forse, pensavo, fare il matematico non era quello che avevo immaginato originariamente.

Così tornai in Inghilterra, con l'idea  che sarebbe stato più saggio valorizzare i miei titoli di studio (sia laurea che dottorato), in contesti non necessariamente accademici.
Cominciai a ricercare su internet a quali tipi di lavoro nell'industria potevo aspirare con un PhD in matematica, e inevitabilmente mi imbattevo in opportunità in ambito finanziario, soprattutto per banche di investimento o "hedge funds". Per una persona abituata a studiare la matematica più  astratta, la matematica finanziaria ed il calcolo stocastico sembravano inizialmente un passo nella direzione sbagliata. Tuttavia evidentemente questa era un'area dove c'erano più  opportunità, quindi cominciai a  studiare , da autodidatta,  questa branca della matematica. Nel lrattempo lavoravo  in un ruolo di ripiego in IT a Manchester.

Man mano che progredivo nello studio mi resi conto che il mio pregiudizio verso la matematica applicata era infondato, e cominciai ad apprezzare questa disciplina nei suoi molteplici aspetti e nelle opportunità' che aveva da offrire, anche dal punto di vista intellettuale.

Dopo un paio di colloqui fui assunto a Londra come vice editore tecnico per una rivista finanziaria legata all'industria. Il mio ruolo consisteva nell'amministrare il processo di recensione di articoli matematico-finanziari della rivista e nell'assicurarne la più alta qualità  dal punto di vista matematico ed editoriale. Questo ruolo mi ha dato anche modo di stabilire molti legami con il mondo dell'industria, partecipare a numerose conferenze e venire a conoscenza delle possibilità che questo poteva offrire, e di quali tipi e quante sfide intellettuali ci fossero. Così divenne finalmente chiaro che il mio sogno iniziale di diventare un matematico era ancora possibile, ma in un modo che tempo addietro non potevo sospettare. Potevo essere un matematico in una banca.

Dopo un paio di anni di esperienza come editore, sono finalmente divenuto un 'quant', ovvero un analista quantitativo. Al momento lavoro per un'azienda di intermediazione finanziaria e mi occupo dell'analisi quantitativa dei modelli matematici dei loro prodotti derivati (soprattutto tassi di interesse e tassi di cambio), ne valuto il prezzo, e implemento tali modelli creando dei programmi software (di solito in C++, C# o VBA) che ne automatizzi la valutazione.
Questo lavoro offre le sfide intellettuali e la possibilità di imparare comparabili a quelle di un ambiente universitario, assieme ai mezzi per effettuare tale ricerca nella maniera più efficace, senza doversi preoccupare troppo della burocrazia di cui gli accademici sono spesso vittime.
Inoltre offre una sicurezza economica ed una maggiore flessibilità nell'uso di tutti le competenze maturate in altri settori dell'industria.

Al momento questo lavoro mi piace molto e credo che in futuro mi potrebbe offrire  molteplici opportunità  se mai mi stancassi del mondo bancario e della sua vita un po' frenetica. Durante il mio percorso ho sicuramente imparato che occorre essere molto flessibili nell'adattarsi a ciò   che il mercato offre, piuttosto che ostinarsi su un sogno forse di difficile realizzazione. Talvolta la flessibilità apre insospettabili possibilità alternative migliori delle precedenti.
 
(Scritta nel 2007)